10 Ott Consapevolezza del fare
di Luca Berni, Executive Coach, Mentor & Trainer
“Consapevolezza” è in assoluto la parola più amata da coloro che svolgono l’attività di Coaching. La creazione di consapevolezza è certamente una delle abilità che un Coach professionista deve saper maneggiare ed è importante al punto che, tra le 8 Competenze Chiave definite da ICF (l’organo che a livello globale si occupa di definire le linee guida professionali ed etiche del Coaching), la numero 7 dice proprio che il coach “Crea consapevolezza”.
L’importanza di questo concetto in alcuni percorsi di formazione in Coaching viene stressata a tal punto, che si sente sempre più frequentemente l’affermazione che: “il Coaching serve a creare consapevolezza”. Ricordo a tal proposito un episodio. Accompagnavo una giovane Coach ad uno dei suoi primi incontri di vendita. L’interlocutore era un imprenditore che l’aveva contattata per affiancare il Direttore Vendite in una fase particolarmente critica della vita dell’impresa. Spiegare cosa sia il Coaching – lo so bene – non è facile, soprattutto se l’interlocutore non ne ha fatta esperienza diretta. Ma la nostra giovane professionista non si perdeva d’animo e cercava di dar fondo a quanto appreso sulla materia per cercare di essere la più chiara possibile nell’illustrare il servizio da lei offerto. Le cose però non andavano molto bene e l’imprenditore, un po’ sovraccarico di tecnicismi da Coach, fece la domanda: “Si! Ma alla fine a cosa serve sto’ Coaching?”. Risposta: “Serve a…”; in quel momento avrei tanto voluto dirle di non dire quella parola, ma lei continuò inesorabilmente: “Serve a creare consapevolezza!”. La Coach sembrava essere molto fiera di quanto detto, almeno fino alla risposta dell’imprenditore: “Guardi signorina, il mio Direttore Vendite deve aumentare il fatturato! Se ha bisogno di consapevolezza, che vada dal prete del suo paese”. Fine dell’incontro.
La consapevolezza è sopravvalutata nel mondo del Coaching. Lo scopo del Coaching è quello di generare il cambiamento desiderato, affinché questo abbia un impatto positivo sul Cliente di Coaching e su tutto il sistema che si relaziona con lui. In un “teorico” percorso di cambiamento, il Coachee dovrebbe prendere consapevolezza della situazione, creare nuove possibilità di svolta, scegliere (consapevolmente) l’opzione o le opzioni più adatte e agire di conseguenza. In questo processo la presa di consapevolezza è uno dei passaggi, ma non è quello che determina il cambiamento. L’unica cosa che determina davvero un cambiamento è adottare nuovi comportamenti, trarre insegnamenti dai risultati ottenuti e ripetere quelle azioni che si sono rivelate virtuose, finché non diventeranno un nuova abitudine.
Con consapevolezza, ma senza azione, non si genera alcun cambiamento.
Per fare un esempio: io potrei essere perfettamente consapevole che lo scrivere un libro sarebbe utile alla mia carriera di consulente, ma finché non lo scriverò non accadrà nulla. Altresì io potrei adottare nuovi comportamenti in modo totalmente inconsapevole che possono generare cambiamenti anche molto importanti nella mia vita. Ricordo ad esempio quando chiesi di passare dall’area tecnica all’area commerciale della mia azienda, lo feci senza un vero perché, ma solo perché ero attratto dalla vita che facevano i commerciali. Non avevo alcuna consapevolezza di quanto mi sarebbe piaciuto e quale impatto determinante avrebbe avuto sulla mia carriera e sulla mia vita.
Il cambiamento è un processo il cui unico passaggio inevitabile è quello dell’adozione di nuovi comportamenti. Se questi poi sono accompagnati dalla consapevolezza delle proprie scelte, tanto meglio. Tuttavia, qualche volta è più utile essere “relativamente inconsapevoli” e mettersi a fare, invece che perdersi in un’infinita analisi dei pro e dei contro alla ricerca dello stato di totale consapevolezza.
“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.” (San Francesco d’Assisi)
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